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Articolo 8: attualità

Ad oggi, l’Italia, così come tutti gli altri paesi europei, è uno stato cosmopolita. Diversamente da quanto successo in passato, al giorno d’oggi le varie confessioni religiose convivono pacificamente, con rari eventi di discriminazione nei confronti delle minoranze. Questa vivacità religiosa ha spinto i capi di alcune comunità religiose a firmare intese con la Stato italiano. Tra queste vi sono la Tavola valdese (1984), i Pentecostali (1986), gli Avventisti del settimo giorno (1986), le Assemblee di Dio in Italia (1986),  la Comunità ebraica (1987), la Chiesa Evangelica Luterana in Italia (1993), la Sacra Arcidiocesi ortodossa d’Italia ed Esarcato per l’Europa Meridionale (2007), la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli ultimi giorni (2007), la Chiesa Apostolica in Italia (2007), l’Unione Buddista italiana (2007), l’Unione Induista Italiana (2007) e l’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai (2007). Il governo italiano (rappresentato dal ministro dell’Interno Marco Minniti) ha firmato un accordo di collaborazione con dieci importanti associazioni islamiche attive in Italia. L’accordo, che si chiama “Patto nazionale per un islam italiano”, ha l’obiettivo di stabilire un percorso di integrazione e collaborazione fra le associazioni e lo Stato.  Le associazioni si sono impegnate fra le altre cose a garantire la trasparenza dei propri fondi, a rendere i loro centri parzialmente aperti al pubblico e a combattere il radicalismo religioso; lo Stato invece si è impegnato a estendere alcune esperienze locali di integrazione su tutto il territorio nazionale, e a promuovere una conferenza dell’Associazione Nazionale Comuni Italiani dedicata al tema delle moschee in Italia. Si sta ancora lavorando per concentrare gli sforzi delle autorità italiane sulle strategie di prevenzione della radicalizzazione e quelle per la de-radicalizzazione. La parte più consistente del documento contiene gli impegni presi dai rappresentanti delle associazioni musulmane. I punti più importanti riguardano la formazione degli imam, l’accessibilità alle moschee e ai sermoni che vengono pronunciati al loro interno, e la trasparenza finanziaria dei fondi che ricevono per la costruzione di centri islamici o moschee. In Italia ci sono un milione e mezzo di musulmani che nella maggior parte dei casi non sanno dove pregare. Le moschee vere e proprie, infatti, in Italia sono 5: la grande moschea di Roma (l’unica che vanta lo status ufficiale di moschea), quella di Segrate, alle porte di Milano, quella di Catania, quella di Colle Val d’Elsa e quella di Sesto San Giovanni. Poi ci sono i luoghi di culto, dove i musulmani si ritrovano per pregare, ma molti sono locali angusti.

Attualmente, il piano della Qatar Charity è costruire in futuro 33 centri culturali grazie a una donazione complessiva da 25 milioni di euro. In secondo luogo, c’è la formazione degli Imam, che sono fondamentali nella guida delle comunità. Per gli immigrati musulmani, infatti, andare in moschea è una forma di aggregazione e di socialità. Per questo motivo la figura dell’Imam assume una funzione fondamentale nella formazione spirituale dei fedeli ed è essenziale nell’evitare forme di radicalismo che possono portare alla nascita di terroristi. Infine, una futura legge, secondo gli esperti, dovrà prevedere un maggiore controllo e trasparenza sui finanziamenti. Il maggiore sponsor economico dei luoghi di culto in Italia, infatti, è il Qatar, paese arabo da molti anni sospettato di finanziare anche le frange più estreme e i movimenti jihadisti. Subito dopo questo Paese del Golfo, tra i finanziatori dell’Islam italiano ci sono diversi Paesi arabi, specie i più ricchi, che dedicano una parte del loro budget finanziario alla promozione dell’Islam in Europa e nel mondo. Altri punti importanti dell’accordo prevedono appunto che «il sermone del venerdì [cioè della funzione principale] sia svolto o tradotto in italiano, così come le comunicazioni sulla vita della comunità o dell’associazione». Infatti, sempre meno musulmani comprendono e parlano l’arabo. Un altro punto importante prevede «programmi di apertura e di visite guidate dei centri islamici» per i non musulmani: cosa che avviene già in alcuni posti. Le associazioni che hanno firmato il patto rappresentano circa il 70 per cento dei musulmani che vivono in Italia.  Riassumendo, gli obbiettivi dell’accordo sono quelli di favorire al meglio i rapporti tra lo Stato italiano e la comunità islamica, tra cui: 

-favorire la crescita del dialogo e del confronto tra governo e comunità islamiche 

-proseguire nell’azione di contrasto dei fenomeni di radicalismo religioso 

-incentivare la formazione di imam e guide religiose. 

L’auspicio è che i principi sottoscritti nel patto siano poi la base per una vera e propria intesa tra lo Stato italiano e le comunità islamiche. Al riconoscimento giuridico della religione islamica nel nostro Paese vengono spesso opposte due difficoltà. La prima si basa sull’assenza di un clero nell’Islam. La seconda obiezione sottolinea come la comunità islamica non sia rappresentata da un soggetto unitario. D’altro canto, la COREIS (comunità religiosa islamica italiana) ha sempre aspirato a rappresentare gli interessi dei musulmani in Italia senza alcuna ambizione di esclusività. Nulla ostacola la possibilità che lo Stato italiano possa riconoscere diverse comunità islamiche. Al riconoscimento giuridico della religione islamica nel nostro Paese vengono spesso opposte due difficoltà. La prima si basa sull’assenza di un clero nell’Islam. La seconda obiezione sottolinea come la comunità islamica non sia rappresentata da un soggetto unitario. D’altro canto, la COREIS (comunità religiosa islamica italiana) ha sempre aspirato a rappresentare gli interessi dei musulmani in Italia senza alcuna ambizione di esclusività. Nulla ostacola la possibilità che lo Stato italiano possa riconoscere diverse comunità islamiche.  

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