Lo Jobs act è una delle riforme di diritto del lavoro in Italia (dopo lo Statuto dei lavoratori del 1970) proposte dal governo Renzi tra il 2014-2015. Il nome jobs act deriva da una legge di riforma statunitense del presidente Barack Obama nel 2011 chiamata “Jumpstart Our Business Startups Act” riguardante una riforma delle piccole imprese. Invece, la riforma legislativa italiana si riferisce a provvedimenti generali nel campo lavorativo. In particolare, lo Jobs act interviene su 5 temi connessi al lavoro: contratti, licenziamenti, welfare, conciliazione vita-lavoro e razionalizzazione.
Per quanto riguarda i contratti di lavoro e i licenziamenti la legge proposta riduce il numero di contratti e li rimodula (vedasi articolo dedicato nel sito), permettendo di estenderli a tempo indeterminato, e concedendo ai datori di lavoratori una maggiore facilità di licenziamento . Viene inoltre prevista la creazione della NAPIS, ovvero dell’assegno di disoccupazione (Assicurazione Sociale Per l’Impiego) estesa a tutti i lavoratori. Si creano piano di incentivi e decontribuzione per le imprese per favorire le assunzioni a tempo indeterminato. Quindi il Jobs act in conclusione si occupa di proporre garanzie a tutti i lavoratori e rinnovare il mondo del lavoro.
Questo provvedimento è stato fortemente criticato soprattutto perchè abolisce alcune garanzie previste dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori del 1970: in sostanza il datore di lavoro può licenziare per motivi economici (periodo di crisi economica, difficoltà dell’azienda), cosa non prevista precedentemente, in quanto si consentivano solo licenziamenti per motivi disciplinari (il lavoratore sottrae beni dell’azienda, la boicotta ecc…). Anche nel caso in cui il lavoratore faccia ricorso e ottenga il riconoscimento che il licenziamento è ingiustificato, il Jobs Act non prevede il REINTEGRO e cioè la ricollocazione nell’azienda, ma un indennizzo economico.