“Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità.“
articolo 66
Storia
La discussione sull’art. 66 si incentrò sulla proposta dell’on. Costantino Mortati di affidare a un tribunale elettorale l’esame dei requisiti per la nomina a deputato e senatore.
L’Assemblea respinse il progetto di Mortati perché, come spiegò l’on. Meuccio Ruini, avrebbe finito per spossessare il Parlamento di una sua attribuzione cui è legato un valore altamente democratico. Nell’esercizio del loro potere di verifica, dopo tutto, i due rami del Parlamento (in Italia) non hanno mai compiuto gravissimi abusi.
Spiegazione
L’articolo affida alle due camere il compito di svolgere, nei confronti dei loro componenti, il giudizio di convalida e il giudizio di decadenza, che determina le eventuali cause di ineleggibilità e incompatibilità facendo quindi decadere la nomina dell’eletto. Gli organi coinvolti nel processo di verifica dei poteri sono la Giunta delle elezioni alla Camera e la Giunta delle elezioni e delle immunità al Senato: il loro compito è quello di svolgere la funzione istruttoria e referente in modo tale da formulare i giudizi da sottoporre al voto dell’aula. L’aula della Camera e del Senato assume la decisione finale in merito alla conferma o alla decadenza di ogni singolo eletto.
Curiosità
I requisiti per essere componenti delle camere riguardano la regolarità delle operazioni elettorali e la mancanza di cause che possano compromettere l’eleggibilità del cittadino e la compatibilità della sua carica con altre eventualmente da lui ricoperte.
La procedura per la verifica dei titoli di ammissione dei parlamentari viene effettuata sulla base di quanto disposto dai regolamenti di ciascuna delle Camere ma segue uno schema comune che vede due momenti di attuazione: il cosiddetto «giudizio di delibazione» e il giudizio di contestazione di carattere giurisdizionale.
Nel giudizio di delibazione viene accertato che l’elezione del deputato o del senatore sia avvenuta nel rispetto delle regole. In pratica, il segretario generale di ogni Camera raccoglie i documenti riguardanti le elezioni e fa preparare dei prospetti da consegnare alla Giunta. Il presidente di questo organismo nomina un relatore per ogni circoscrizione elettorale facendo in modo che quest’ultima non coincida con quella in cui è stato eletto il relatore stesso. Pertanto, e per fare un esempio, se il relatore è stato eletto in una circoscrizione della Lombardia si occuperà della verifica dei requisiti di un collega eletto in Piemonte, nel Lazio o in Puglia.
Il compito del relatore sarà quello di esaminare i documenti ricevuti dalla Giunta. Se l’esito del controllo è positivo, l’elezione viene convalidata, ratificata e comunicata al Presidente della Camera di riferimento affinché venga proposta all’Assemblea.
Che succede, però, se dalla verifica del relatore emergono degli elementi che impediscono l’immediata convalida dell’elezione? In questo caso, si apre il giudizio di contestazione. In sostanza, il Presidente del relativo ramo del Parlamento nomina un comitato di verifica (che al Senato prende il più insidioso nome di «comitato inquirente») il quale avvia una vera e propria istruttoria, cioè delle indagini approfondite sull’esistenza dei requisiti per la nomina del parlamentare interessato. Al termine dell’istruttoria, la Giunta si riunisce in camera di consiglio e propone all’Assemblea la convalida, l’annullamento o la decadenza dell’elezione oggetto della contestazione.
In estrema sintesi: finché il relatore e la Giunta delle elezioni (e dell’immunità al Senato) non si pronunciano e l’Assemblea con conferma tale parere, non è possibile dichiarare formalmente e definitivamente eletto un parlamentare.