“Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale.
articolo 38
I lavoratori hanno diritto che siano preveduti e assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.
Gli inabili e i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale.
Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi e istituti predisposti o integrati dallo Stato.
L’assistenza privata è libera”
Ma cosa significa?
L’articolo 38 può essere ricollegato al dovere di solidarietà già previsto dall’articolo 2 della Costituzione italiana. La stesura dell’articolo in questione fu particolarmente complicata dal momento che numerosi costituenti si dimostrarono da subito contrari al fatto che lo Stato si assumesse la responsabilità di mantenere alcune categorie di cittadini.
L’Assemblea costituente, alla fine, riconobbe, però, l’obbligo dello Stato di assicurare a ciascun cittadino un livello di vita dignitoso. Il nostro Paese si impegna a favorire l’inserimento nel mondo lavorativo di inabili e minorati (qualora fosse possibile) e ad assistere chi non è in grado di svolgere attività lavorative.
Al centro dell’articolo 38, troviamo, quindi, l’impegno della Repubblica ad affrancare dalla “schiavitù del bisogno” tutti quei cittadini costretti a vivere in condizioni di precarietà sociale ed economica.
Lo Stato assiste i lavoratori stessi in caso di rischi professionali (infortuni/disoccupazione involontaria…) e non professionali legati allo stato di salute (come malattie o invalidità).
Dal 1969, sono previste, per esempio, le pensioni di vecchiaia e di anzianità a carico dello Stato e destinate alle persone con più di 65 anni di età con redditi inferiori ai limiti stabiliti per legge.
Il terzo comma sottolinea il diritto dei soggetti con inabilità a essere istruiti (insegnanti di sostegno a supporto delle categorie più fragili) o avviati a una professione.
Curiosità…
Il caso sottoposto all’attenzione della Corte di Appello di Torino di un ragazzo affetto da tetraplegia spastica e quindi incapace di svolgere le più elementari azioni quotidiane e di comunicare con il mondo esterno ha suscitato non poche polemiche. La Corte Costituzionale, che ha esaminato la questione, ha stabilito che i soli 285,66€ che la legge prevede per le persone che a causa di una grave forma di disabilità sono impossibilitate a svolgere qualsiasi forma di attività lavorativa non sono sufficienti a soddisfare i bisogni primari della vita. In questo modo, viene violato il diritto al mantenimento garantito dall’articolo 38 della Costituzione italiana.