“La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni del lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione.
La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato.
La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce a essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione”
articolo 37
Ma cosa significa?
Nell’articolo 37 della Costituzione italiana è presente un evidente richiamo al primo comma dell’articolo 3 (uguaglianza tra i sessi).
Questo articolo ha come obiettivo quello di garantire una piena uguaglianza formale tra lavoratori e lavoratrici. Così come sottolineato dalla legge n.903 del 1977, sono espressamente vietate tutte quelle forme di discriminazione basate sul sesso, indifferentemente dall’attività lavorativa (non va dimenticato, infatti, che la donna riveste un ruolo importantissimo all’interno della famiglia, ulteriormente accentuato dal suo potenziale ruolo di madre. Questo potrebbe mettere la donna di fronte a rischi notevoli di discriminazioni, come nel caso di licenziamenti in caso di matrimonio o gravidanza).
Per questo motivo, a partire dagli anni Novanta, si è cercato di rendere questa uguaglianza formale una vera e propria uguaglianza sostanziale, nel tentativo di attenuare quello squilibrio, che si era andato a creare nel corso dei secoli, a sfavore delle donne.
Nel processo di approvazione dell’articolo in questione, i costituenti hanno cercato, inoltre, di porre precise garanzie anche a tutela di un’altra fascia debole, ossia dei minori. Bruno Corbi, membro del Partito comunista italiano, sottolineò l’arretratezza della legge del 26 aprile 1934, rispetto agli altri Paesi, sul lavoro minorile, che portava i più giovani ad essere obbligati a svolgere lavori faticosissimi e senza alcuna forma di tutela. Con questa legislazione viene vietata qualsiasi forma di lavoro a i minori di 15 anni di età, mentre si consente quello degli adolescenti, previo esame medico e garanzia di frequenza di attività formative fino al compimento della maggiore età. In questo modo, essi sono “difesi” dallo svolgere lavori pericolosi, faticosi e nocivi per la loro età e viene garantito loro, a parità di lavoro svolto, la medesima retribuzione degli adulti.
Curiosità…
Interpretare i numeri non sempre è semplice come potrebbe sembrare. Tuttavia è chiaro ed evidente che il divario retributivo di genere tra uomo e donna, in Italia, è purtroppo ancora molto alto e la pandemia non ha contribuito a migliorare la situazione. Secondo Eurostat (2015), il divario retributivo di genere complessivo in Italia è del 43,7% (nell’UE è del 39,3%). Con questo termine si indica la differenza tra salario annuale medio percepito dalle donne e uomini.
Si tiene conto di tre principali svantaggi che devono essere affrontati quotidianamente dalle donne lavoratrici:
-retribuzione oraria inferiore (le cariche lavorative più alte sono ricoperte in larga maggioranza da uomini)
-meno ore di lavoro retribuito (i lavoratori uomini dedicano, in media, 9 ore a settimana ad attività non retribuite come la cura dei figli o famigliari o i lavori di casa, mentre le lavoratrici dedicano a tali attività 22 ore)
-minore tasso di occupazione